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n° 16
marzo 2015

prima pagina

editoriale

tre giorni di peste

dietro le nuvole nere

 

 

 

 

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Tre giorni di peste
riflessioni in chiave biblica sulla crisi italiana
di Francesco Pezzullo


I padri hanno mangiato l’uva acerba / e i denti dei figli si sono allegati?

                                                   Ezechiele, 18, 2
 

L’Italia è in crisi. L’affermazione è ormai ripetuta da così tanto tempo che è possibile considerare lo stato critico quasi la condizione naturale del Paese. Le porte del tempio della Crisi, come quelle del tempio di Giano, dio della guerra, nell’antica Roma, sono state chiuse ben poche volte nella pur breve storia unitaria di questa Nazione. Quella attuale è drammatica, se non altro, perché la viviamo e subiamo in prima persona. Appunto la subiamo. Diffuso è il pensiero tra i cittadini di pagare, ancora una volta, a caro prezzo errori e colpe commessi da altri.
Nel riflettere sui possibili motivi della recessione che ci ha colpito e delle ingiustizie ad essa legata, provo, tuttavia, a cercare non una spiegazione tecnica o razionale, bensì una emotivamente più soddisfacente, perché soprannaturale e, pertanto, ineludibile: la punizione divina.
Mi viene così alla mente il passo dell’Antico Testamento1, dove si racconta che Davide, re di Israele, ordinando il censimento della popolazione (provvedimento, di regola, propedeutico all’imposizione fiscale), ottiene l’effetto di provocare l’immediata ira del Signore. Nel Libro dell'Esodo si apprende che il primo censimento dei figli di Israele fosse appunto imposto Brugel_reda Dio. In quell'occasione ogni recensito avrebbe dovuto pagare un tributo in riscatto della propria vita, pena un flagello per l’inadempiente all’obbligo fiscale. Indire il censimento doveva considerarsi un potere del solo Jahvè. Attribuendosi un atto di governo esclusivo dell’Autorità Divina sul popolo Eletto, Davide peccava di ambizione: mostrava l’intenzione di volerne usurpare la Sovranità.
Preso da rimorso, il Re di Israele invoca la misericordia divina, per ottenerla, però, deve prima subire un castigo, quale espiazione della colpa commessa. Dio, comunque, consente a Davide di scegliersi la punizione: colpire Israele con tre anni di fame, con tre mesi di sconfitte militari o con tre giorni di peste. Non senza un certo stupore, occorre notare come le conseguenze della penalità, a conti fatti, in nessun caso finiscono con il ricadere sul diretto responsabile dell’offesa, ma solo sul popolo, che, peraltro, di suo, già aveva dovuto subire l’aumento delle tasse.
Il presunto Peccatore, mostrando di temere più il furore popolare, che non l’ira divina opta, alla fine, anche se a malincuore, per i tre giorni di peste. E settantamila ebrei morirono. A fronte del perdono divino, le altre due forme di castigo, per durata e intensità, non avrebbero probabilmente salvato il figlio di Isso da una rivolta popolare con conseguente rovesciamento del suo potere.
Di qui alcune analogie con la congiuntura italiana. Mentre l'Italia entrava nel pieno di una crisi a tutto tondo, economica, sociale, politica e non ultima morale, quanti la governavano, nei fatti, hanno continuato ad usurpare il principio della sovranità popolare in funzione degli interessi privatistici di pochi, non di rado pochissimi, se non di uno solo. E quando, poi, la situazione è divenuta insostenibile, il paese si è trovato di fronte a tre possibili scenari, tutti ugualmente punitivi per i cittadini, anziché per i veri responsabili del malgoverno. In definitiva, sono proprio questi ultimi a decidere lo scenario da realizzare: continuare ad avere la maggioranza di governo in carica, con il quasi certo risultato di arrivare al fallimento del Paese; andare subito a nuove elezioni, ma il periodo di vuoto di potere, accompagnato dalla conseguente incertezza politica, minacciava altresì di peggiorare una situazione già comatosa, a detta di molti analisti; infine, come ultima alternativa, si presentava l’opportunità di governi di larghe intese, sorta di union sacrée, in grado di adottare nel breve periodo misure incisive a fronteggiare il pericolo incombente, ma con effetti devastanti sul piano sociale.

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La nostra classe politica, così, contrabbandando per senso di responsabilità verso la Nazione la propria incapacità a poter affrontare efficacemente la drammatica situazione creatasi, ha consentito la nascita dei Governi Monti, Letta e Renzi: Davide ha scelto i tre giorni di peste. E nel fare ciò, quella stessa classe politica ha dimostrato di temere più l’ira della grande finanza che non

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la delusione dell’elettorato. Lo stato di crisi emergenziale ha giustificato e giustifica, a voler essere crudi, vere e proprie politiche di macelleria sociale, poiché finiscono con l’accanirsi sulle fasce più deboli, solo fittiziamente e demagogicamente bilanciate da misure a sostegno di queste ultime o miranti a colpire i privilegi di potentati e corporazioni, Casta compresa.
A questo punto, torno di nuovo al racconto biblico. Terminata la peste, Davide, amareggiato e pentito, dopo una punizione, per nulla a lui pregiudizievole, viene perdonato da Dio, continuando a governare Israele con il suo pieno favore. Conclusione questa che parrebbe applicarsi, in un certo senso, alla situazione italiana: la casta politico-finanziaria, che ha portato il Paese sull'orlo del baratro, passata la peste, senza aver sopportato alcun sacrificio, si manterrebbe ancora alla guida del Paese, vantando il senso di responsabilità dimostrato nello scegliere il bene dell'Italia.
Sotto tale prospettiva, allora, quanto gli italiani, tuttora, patiscono in termini economico-sociali, sarebbe meritato per propria colpa. L’osservazione mi aiuta a restituire al passo dell'Antico Testamento una lettura più corretta, ridefinendo i ruoli tra colpevole e vittima. Tutto l'episodio narrato nel Secondo Libro di Samuele, infatti, trova la sua illuminate razionalità interpretativa nell'incipit, dove si dice appunto che L'ira del Signore si accese ancora una volta contro Israele e incitò Davide contro il suo popolo [...]. Alla luce di questo verso, il Sovrano israelita non è altri che un semplice strumento della Volontà divina. La Nazione di Abramo aveva nuovamente mancato di riconoscenza verso il suo unico e vero Signore, abbandonandosi all'idolatria. Usando Davide, Dio, aveva inteso punire effettivamente l’intero popolo di Israele, poiché nuovamente caduto nel peccato.
Allo stesso modo, il popolo italiano sarebbe colpevole nel dimostrare di non riuscire ad utilizzare con responsabilità e consapevolezza quella sovranità che la Costituzione gli riconosce, continuando a lasciarsi tentare dal populismo e dalla demagogia. Fino a quando sarà considerato valore la furbizia e non l'onestà, sarà difficile cambiare una classe dirigente egoista e indolente e saremo imputabili collettivamente del malgoverno, nonché del conseguente sfacelo del Paese. Un popolo che non esige il rispetto della legge, espressione del pactum societatis, cioè dell'alleanza che vincola i cittadini al vivere civile comune, rimane responsabile, nella sua interezza, anche di fronte alla violazione di quella da parte di pochi, se non di uno. Per gli esegeti nel Libro del Decalogo Dio assume Israele come un tutt'uno, in virtù dell'alleanza sacra stabilita con esso. Pertanto, anche quando la colpa è di uno solo, Egli attribuisce sempre una responsabilità collettiva ad ogni forma di violazione della Legge che, tramite Mosè, ha dato al suo popolo.
E se si considera allora Dio una proiezione dell'uomo fuori di sé, come sostenuto dal filosofo tedesco L. Feuerbach, ne può conseguire che quando Dio punisce il suo popolo Eletto, in ultima istanza è quest'ultimo che punisce se stesso: non a caso Dio parla la lingua degli uomini e la sua legge è scritta in questa lingua.

 1 Secondo libro Samuele, 24, 1-25, La Bibbia, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2010.
 2 Ibid., pp. 319

 

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